Punto di incontro nevralgico tra i quartieri di Posillipo e Mergellina, ed il centro storico di Napoli, è sicuramente il signorile ed elegante quartiere di Chiaia, vetrina della città, e per i primi due decenni del ‘900, il risultato locale più strepitoso della nuova tendenza “Liberty” che stava via via conquistando l’Italia. Innumerevoli sono gli edifici sorti secondo i canoni “Liberty” in questo periodo; uno fra tutti è “Palazzo Mannajuolo” in Via Filangieri, famosissimo per la sua scalinata ellittica, ripresa anche nell’incipit del film “Napoli velata”, ma ancor di più perché in esso vi era il “Teatro Filangieri”, dove il grande Eduardo de Filippo portò in scena molte delle sue opere.
Il quartiere Chiaia però, non fu solo un gioiello Liberty, ma anche il vero cuore pulsante di fermenti artistici e culturali importati dalla Francia, che insieme ad un ritrovato benessere socio-economico, ed alla ricerca da parte della gente di svago e tempo libero, convogliarono in quel periodo di prosperità e pace, che passerà alla storia con il nome di “Belle Epoque”.
Ecco dunque che sorsero i primi Café Chantant che proponevano spettacoli di varietà nei quali si alternavano piccole rappresentazioni teatrali, giochi di prestigio, balletti e canzoni, accompagnati dalla consumazione di bevande e/o vivande in loco.
Il “Gran Caffè Gambrinus”, fondato nel 1860 da Vincenzo Apuzzo, divenne presto il Café Chantant per antonomasia dei partenopei; esso fu un luogo di ritrovo fondamentale per la raffinata nobiltà napoletana; inoltre vi si susseguirono intellettuali e artisti di grandissimo spessore come Gabriele D’annunzio, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Benedetto Croce, e Totò, che contribuirono a scrivere e ad arricchire la storia del locale, almeno fino all’epoca fascista. Fu proprio durante il fascismo che il prefetto decise di far chiudere i battenti al Gambrinus a causa della frequentazione dell’elite politica e culturale che veicolava qui le proprie idee contro il regime del Duce. Gli ambienti che fino a quel momento erano appartenuti al locale, furono destinati ad ospitare una banca, fino a quando, nel dopoguerra, l’imprenditore napoletano Michele Sergio riuscì a riaprire l’esercizio rioccupando parte delle sale, e dopo una controversia con il Banco di Napoli, anche la parte sottrattagli in precedenza.
Parlando del Gambrinus a questo punto, è impossibile non fare accenno ad una leggenda ad esso legata che lo fa entrare di diritto nell’elenco dei luoghi esoterici della città, tanto da organizzare dei veri e propri tour alla ricerca della cosiddetta “bambina golosa di torrone”.
Ogni anno, nel mese di novembre, i laboratori del piano interrato del Gambrinus, si mettono in moto per produrre non soltanto i prelibati dolci serviti dalla casa, ma anche il torrone, tipico dolce napoletano a base di frutta secca (nocciole, mandorle, noci), che si consuma, secondo la tradizione popolare, soprattutto nel giorno della commemorazione dei defunti e nel successivo periodo natalizio. Sempre la tradizione popolare ritiene che lasciare la frutta secca sulle tavole durante le festività, sia un rito perché considerata il cibo preferito dei defunti; questo gesto permetterebbe quindi anche ai nostri cari che non ci sono più, di banchettare per ricongiungersi, seppur molto brevemente, con noi. Ogni anno, al Gambrinus, con l’approssimarsi di queste festività, compare puntuale anche il fantasma della bambina, che a giudicare dagli abiti indossati, sarebbe morta agli inizi del 1900. Felice e sorridente, la piccola gironzola tra i tavolini del bar in cerca di leccornie da rubare, ma soprattutto in cerca del suo dolce preferito: il torrone, di cui è ghiotta. Alla luce di quanto detto prima allora, i suoi gusti potrebbero non essere casuali; il torrone quindi sarebbe la pietanza ideale per una piccola defunta golosa.
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